Un uomo giusto, Elena Stancanelli, Einaudi 2011








Anna è una architetta non ancora quarantenne che vive e lavora a Roma, in un bel loft dalle parti della Piramide Cestia. Tutti i giorni, per fare una pausa, scende al bar sotto casa a farsi un caffè e lì, tutti i giorni, da un po’ di tempo, c’è un ragazzo molto bello che le guarda il culo.
Non dice nulla, ma Anna sente il suo sguardo su di sé, ne sente il calore, la tensione.
Poi il ragazzo le lascia dei caffè pagati e, alla fine, fanno conoscenza e cominciano a parlare.
Lui si chiama Davide e fa il meccanico. Giorno dopo giorno Anna viene catturata da quest’uomo così diverso da tutti, per il suo modo di ragionare, di parlare, di stare nel mondo. Perché Davide ignora il significato delle parole più comuni? Perché non possiede le normali nozioni di cultura generale che un adulto dovrebbe avere?
“Le astrazioni, nella sua testa, non esistono. Non ricorda i nomi delle persone, delle vie, dei cantanti. Né i numeri, gli indirizzi, le date, e fatica a distinguere la destra e la sinistra. E poi non sa niente.”
Alla fine Anna capisce che quell’uomo bellissimo, alto e forte come un guerriero, sta lottando da tutta la vita con un nemico sconosciuto: la dislessia.
Ciò che è incredibile e che nessuno, prima di Anna, né i genitori, né i professori, né i medici, se ne fosse accorto.
Questa rivelazione è per Davide sconvolgente, sente di potersi fidare di Anna, sente di poterle consegnare la sua storia, quasi sperando che quella giovane architetta la possa ricostruire, rimettere in ordine. Ma nel passato di Davide ci sono degli abissi, delle zone d’ombra che rischiano di risucchiare anche la stessa Anna…
Una storia d’amore prima che l’amore cominci, un romanzo che ricostruisce quel momento in cui – per qualche settimana o mese – due persone si girano attorno, si studiano, si conoscono, provano a mettere le rispettive vite l’uno nelle mani dell’altra. Operazione, questa, particolarmente delicata, specie se le persone in questione non sono più due ventenni propensi alla sperimentazione affettiva, ma due quarantenni con una biografia già consistente alle spalle e, dunque, con qualche dubbio e qualche paura in più.
La biografia di Davide, poi, è particolarmente articolata e intensa. Come una specie di Zelig spensierato e incosciente, ha attraversato gli ultimi trent’anni di storia italiana entrando, seppur sempre di sfuggita, nel frame di tutti quegli eventi che hanno forgiato il nostro immaginario. Dallo Zecchino d’oro ad Alfredino Rampi, dai film di Jerry Calà alla pubblicità dei jeans Levi’s. E poi il narcotraffico e la quasi autodistruzione da cocaina.
Ma quando conosce Anna, Davide ha già compiuto la sua parabola e il compito della ragazza è solo quello di ascoltare, di ricevere in dono il racconto di una vita.
Davide è una specie di sopravvissuto, un personaggio arcaico che pare arrivare da un mondo perduto e mitico. “Una forza del passato” per dirla con i versi di Pasolini, del quale sembra figlio. Non a caso Davide si autodefinisce “un coatto antico”, per lui “la riflessione non esiste, esistono brevissime pause per la manutenzione, perché le ferite cicatrizzino, il dolore passi. Se ti fermi, o ti riposi, è solo perché ti sei fatto male, o sei morto.”
La dislessia di Davide, da questo punto di vista, non è un limite, tantomeno una malattia, bensì un “differente” modo di interpretare il mondo e di stare nel mondo. Ciò che sembra suggerirci il romanzo è che la rettitudine morale di un uomo, il suo essere “un giusto”, non è data dal giudizio divino né da quello umano, ma dalla purezza dell’anima. E se l’anima di un uomo è pura lo si può scoprire anche raccontandosi a un bravo scrittore.
Dopo molti libri di saggistica e reportage letterari, Elena Stancanelli torna con un romanzo di grandissima intensità, confermandosi una delle autrici italiane più interessanti.