Gli esordi, Antonio Moresco, Mindadori







Siamo all’interno di un seminario, dove un giovane seminarista ha smesso di parlare. Il giovane è totalmente assorbito dal silenzio, tanto da vivere in una sorta di costante tensione allucinatoria. Il suo è uno stato mentale così concentrato e assorto da consentirgli persino di percepire i sottili moti di violenza repressa che serpeggiano fra gli altri seminaristi, per i quali – fra l’altro – non mostra nessun interesse. Un giorno lo vengono a prendere perché deve subire un intervento di circoncisione. Dopo l’operazione trascorre la convalescenza presso dei parenti, in una villa di campagna dove conosce una ragazza strabica. Al ritorno in seminario, per farlo ricominciare a parlare chiamano uno specialista confessore, soprannominato il Cavatappi ma nemmeno lui riesce a farlo parlare. 
Dopo qualche anno ritroviamo il taciturno e complesso giovane alle prese con la politica: è diventato un attivista e gira l’Italia tenendo comizi. L’atmosfera è totalmente diversa da quella crepuscolare e ovattata della prima parte del libro. Qua le pagine sono ricche di dialoghi, incontri, personaggi bizzarri e tasselli narrativi che si innestano nella trama principale, come la vicenda della relazione sessuale tra Lenin e Anastasia Romanova, narrata da un vecchio militante comunista sul letto di morte. Poi il romanzo fa un ulteriore balzo in avanti e ritroviamo il protagonista muoversi nel sordido mondo editoriale italiano. Adesso è alle prese con il più ambiguo degli editori, un uomo che pare interessato al suo romanzo ma allo stesso tempo scompare, si fa negare al telefono e cerca addirittura di buttare giù il protagonista dalla cima del Duomo di Milano…
Tre blocchi temporali, tre momenti che rispecchiano altrettanti periodi italiani. 
Gli anni cinquanta e sessanta che preparano i tumulti dei decenni successivi e quindi gli anni settanta, con i feroci conflitti politici che sfoceranno nel terrorismo. Poi gli anni ottanta e novanta, con la loro plastica colorata, la moda, il disimpegno e la vita che si riflette in un apparente nulla.
Una scrittura piena di invenzioni, che tuttavia non vuole intrattenere il lettore con lo sfoggio dei virtuosismi ma è – al contrario – una prosa che ha come scopo una chiara tensione conoscitiva. Tutto parla, nelle pagine di Moresco: l’aria, i pulviscoli, i silenzi, le fiammelle delle candele. La sua è una scrittura ipnotica, potentissima ed estranea ai pur numerosi e vari “stili” letterari italiani. Moresco è un alieno capace di fare con le parole e con la materia narrativa cose sorprendenti. Come ha dichiarato egli stesso: “Ne Gli esordi non c’è una narrazione lineare in cui l’Io domina tutte le strutture del racconto, al contrario, ogni cosa che circonda l’Io, le persone, i rumori, le cose che volano nell’aria, acquistano una loro pregnanza e non sono schiacciate da questo Io.”
Uscito nel 1998 per Feltrinelli, viene ripubblicato ora con qualche modifica da Mondadori. Quindici anni di rifiuti editoriali, “no” importanti alla sua pubblicazione come quello di Giuseppe Pontiggia o Aldo Busi. Gli esordi letterari di Moresco sono stati caratterizzati da continue difficoltà, che lui ha sempre affrontato con la determinazione di chi è convinto che “Se vuoi passare lo strato dell’armatura in cui sono imprigionate le persone, anche tu devi spaccarti e mostrare la tua ferita.” 
“Gli esordi” è parte di un progetto letterario grandioso che comprende anche il monumentale “Canti del caos” e l’ultima parte alla quale lo scrittore sta attualmente lavorando, che s’intitolerà “Gli increati”.