La vita umana sul pianeta terra, Giuseppe Genna, Mondadori 2014








Il 22 luglio 2011 una potente deflagrazione nel centro di Oslo causa la morte di otto persone.
Nei drammatici e concitati momenti in cui le forze dell’ordine convergono nel luogo dell’attentato, l’autore della strage si dirige indisturbato verso l’isola di Utoya dove stermina a colpi di fucile 69 ragazzi e ragazze, membri della sezione giovanile del partito laburista Norvegese. Anders Behring Breivik ha pianificato la sua sciagurata azione in ogni dettaglio, per anni, arrivando a scrivere anche un delirante testo di oltre 1500 pagine che invia agli adepti di una organizzazione nazista attiva in rete e non solo. Qual è la relazione fra quest’uomo e la serie dei “delitti del kebab” avvenuti in Germania? Quali i traumi, gli sconquassi psicologici che hanno condotto un ragazzo allevato da una delle democrazie più consolidate del nord Europa a perdersi in un delirio nazista?
Ma soprattutto, com’è, che sapore ha, che consistenza, il vuoto Occidentale che ha prodotto tutto questo? Come fosse una sterminata tavola di Hieronymus Bosch, illuminata dalla luce fredda, artica, del nord, Genna costruisce la sua narrazione procedendo per aggiunte e allestimenti di suggestioni e rimandi. Così l’orrore norvegese è solo il virus di partenza che lo scrittore si inocula per meglio rappresentare il Male e il vuoto dell’occidente. La composizione totale dell’opera si disvela attraverso singoli nuclei narrativi, in sé completi eppure interdipendenti: agghiaccianti quadri nel quadro generale. Breivik, certo, ma anche la madre dell’autore, ieratica, oracolare, spaventosa; l’editore disincantato e già postumo a se stesso; la babelica e dismessa Torre Galfa che ascende verso il vuoto; i tossici di una Milano frantumata. E Genna si muove, ma come si muovono le materie oscure, non gli uomini. Spira, fluttua, tiene insieme i vivi e i morti, visita i sogni altrui nelle case notturne degli italiani. Poi alla fine se ne va e noleggia uno scuolabus horror dai sedili sventrati, guida nel sole freddo della Norvegia, come spinto all’estremo, sui margini bianchi del vuoto da cui si è originato tutto il male e raccoglie le vittime di Breivik, i biondi e magri giovani dall’ormai spento incarnato platino, ma per portarli dove? Per consolarli come? Un libro simile, epocale e cupo, non può certo approdare alla quiete né alla facile consolazione, tuttavia dona un pungolo (più d’uno, in realtà), un koan su cui meditare, quando ci ritroveremo, chissà in che forma, mondati e puri, a contemplarci nella luce giallognola di Marte. 
“La vita umana sul pianeta Terra è una catena di sacrifici, portati a termine per finire e uscire da qualunque catena.”