Bruciare tutto, Walter Siti, Rizzoli 2017



Il fattaccio, la cosa brutta a cui non si rimedia, arriva parecchio in là, quando il lettore, avido dell’ignominia che i giornali gli hanno raccontato e anticipato, ha già macinato un bel po’ di capitoli. Succede a pagina 168 che Walter Siti si sporge da un corsivo e parla col suo personaggio: "Ancora una o due pagine poi dovrò spiegare, dovrò raccontare: il rischio è forte – per te che squaderni il tuo intollerabile abisso, per me che come autore brucerò un lavoro molteplice al fuoco di un unico tema."
In queste poche righe Siti introduce la svolta narrativa del suo romanzo, ma in realtà un poco sembra quasi rammaricarsi perché sa che il nucleo incandescente della storia, i miasmi, la lava che presto comincerà a salire dagli abissi farà scappare tutti, a mani levate verso il cielo, in un isterico fuggi fuggi. Che poi, probabilmente, è quello che voleva. Ma ci sono altri punti del romanzo in cui Walter Siti sembra proprio non riuscire a rimanere il narratore occulto che si nasconde dietro la terza persona e, come un regista un po’ narciso, entra – più o meno di soppiatto – in qualche scena, quasi ammiccando al lettore. Per esempio: c’è una scrittrice in “Bruciare tutto”, si chiama Mate, è molto colta, viaggia tanto, ma è sconvolta dalla morte del figlio Sebastiano e da questo lutto non saprà più riprendersi. Don Leo, parlando di lei dice: “povera Mate, si crede un’autrice e invece è un personaggio.” Tana per Walter Siti, che ci prova, ma proprio non ce la fa, a essere scrittore e basta. In tutti i suoi precedenti romanzi Siti ha raccontato di sé e la cosa ci è piaciuta assai, ma qui, in questa storia in cui lui stesso ha dichiarato di non esserci, sentirlo respirare dietro le quinte in modo così evidente un pochino disturba. 
È questo, secondo me, il limite più grande di “Bruciare tutto”. Non la dedica a don Milani o il tema della pedofilia: la letteratura può e deve parlare di tutto. Quelle, di tutto il romanzo, sono le pagine più riuscite perché scritte senza alcun compiacimento ma con un rigore estremo e funzionale solo alla narrazione. No, il vero limite è l’incapacità di Siti di sparire davvero come autore onnisciente. È sempre lì, nascosto sotto la tonaca del prete. Ecco, sotto quelle vesti non c’è don Milani, rassicuratevi, c’è Walter Siti che ha voluto provare un costume nuovo, ma il suo corpo letterario ormai è troppo grande perché la mimesi possa risultare efficace. 
A disturbare è la sensazione che Siti, mettendosi la maschera di un prete, si sia spinto in una finzione che non è la sua e – pur mostrando un controllo da grandissimo scrittore sulla lingua e sulla narrazione – abbia perso quello sguardo sicuro e tagliente con cui raccontava in prima persona le vicende dei romanzi precedenti, quasi fossero dei piani-sequenza iperrealistici. La forza di Siti romanziere è tutta qui, nel mettersi in scena come personaggio feticcio.
Non a caso i momenti più interessanti di "Bruciare tutto" non sono, a mio avviso, le parti in cui don Leo battaglia con Dio (niente di originale, tutto già noiosamente sentito e letto mille volte) bensì la parrocchia, che è un set non troppo diverso dal palazzo di via Vermeer dove era ambientato “Il contagio”. Anche qui, seppure questa volta non siamo nelle borgate romane ma a Milano, passa tutta quell’umanità che Siti sa raccontare tanto bene: intellettuali, broker, modelle, artisti, marchettari, una fauna patetica ed emblematica allo stesso tempo, attraverso la quale l’autore ci rimanda un’immagine implacabile della nostra contemporaneità.
Siti ha scritto libri importantissimi e coraggiosi in questi decenni, a cominciare dal suo meraviglioso esordio “Scuola di nudo” e mi auguro che – con l’età matura – non decida di travestirsi per scandalizzarci. Speriamo si ricordi ciò che gli disse Ernesto Ferrero: “faccia il mostro, e non rompa le scatole,” ma senza più nascondersi dietro la terza persona e tornando a raccontarci la sua vita, o meglio, la sua biografia di fatti inventati.