Ho
cercato spesso di capire quali siano gli inafferrabili elementi che ci
permettono di distinguere l’amore dall’amicizia, ma non ci sono ancora
riuscito.
Grazia
Verasani, col suo romanzo, esplora proprio questo misterioso interregno senza,
come è giusto che sia, fornire alcuna risposta risolutiva, perché non è a
questo che serve la letteratura.
C’è un
momento di particolare “fertilità affettiva” nella nostra storia personale, di
solito gli anni della prima adolescenza, durante i quali siamo eccezionalmente
ricettivi nel riconoscere le anime a noi affini. Affini anche nel senso
antinomico, capaci, cioè, di stimolarci nel portare alla luce aspetti ancora sconosciuti
di noi stessi, magari il nostro lato più “maledetto”.
Sono
momenti bellissimi, generalmente dolorosi e indimenticabili.
Anni in
cui sperimentiamo la vita con un furore sentimentale che poi, nell’età adulta, andrà
fatalmente a stemperarsi. Forse è per questo che ogni tanto proviamo nostalgia
per quelle tempeste emotive, per i subbugli del cuore, i tradimenti e le riconciliazioni,
i pianti, le risate, per quelle persone che ci hanno donato tali scosse e
turbamenti.
Dina è
una così. Un incontro alieno, la creatura di un altro mondo, ricca, sfrontata,
fascista, che finisce per collidere con la vita di una ragazza (l’io narrante
del libro) ben più semplice, proletaria e comunista. Non è quello che le due
giovani hanno in comune, ma le loro differenze, il tentativo disperato di
volersi bene “nonostante tutto”, a costituire la materia narrativa del romanzo.
Lettera a Dina parla
di nostalgia, di quel nodo in gola che si forma sempre quando pensiamo a quegli
anni lì, a persone così; ma ci pensiamo per caso, quando siamo più fragili, per
un amore che va male, ad esempio, o per la nostra vita che forse non sta
seguendo la direzione che avremmo voluto. Allora basta riascoltare una vecchia
canzone per ricordarci quanto ci mancano certe persone. Che siano vive o morte
non ha importanza, comunque non ci sono più, e con loro una parte di noi.
A
questo, alla fine, serve la letteratura. A parlare con i morti, i dissolti, i
mai dimenticati, gli andati. A perlustrare i vuoti, i calchi dei corpi sulle
lenzuola, lo spazio vuoto fra una riga e l’altra di una lunga, dolorosa lettera
d’amore.
Grazia
Verasani lo sa e ha scritto a tutti noi, a ciò che siamo stati, alla musica che
ascoltavamo, alle idee che circolavano quando pensavamo di cambiare il mondo. Agli amici e agli amori che sono passati, ma che possono tornare. Basta solo la canzone e il libro giusto.