Non volevo morire vergine, Barbara Garlaschelli, Piemme 2017





Di questo libro di Barbara Garlaschelli si sta parlando tantissimo, esso è – come si dice – un successo. Man mano che vado leggendo le recensioni uscite constato che ogni recensore individua aspetti del libro che anch’io ho notato e apprezzato. A questo punto finirei per dire cose che sono già state dette, ho pensato quando ho deciso di scriverne, così mi sono messo a ragionare sul perché la storia di Barbara continuava a ronzarmi nella testa anche molto tempo dopo che avevo finito di leggerla. E la ragione è che Barbara è riuscita a fare quello che a pochi scrittori riesce: ha fatto del suo libro un oggetto vivo. “Non volevo morire vergine” non è solo la narrazione di un aspetto importante della vita dell’autrice (la riconquista della sfera erotica e sessuale dopo un tragico incidente che le ha causato una grave disabilità); col passare dei giorni, e chi segue Barbara in rete sa di cosa parlo, il libro ha subìto una sorta di mutazione/espansione, diventando quasi altro da sé e trasformandosi in un vero e proprio happening itinerante. Non si tratta del semplice tour promozionale a cui si sottopone ogni autore, la mia sensazione è che Barbara non stia promuovendo un libro ma testimoniando una verità e lo fa con un acume, un’ironia, una sicurezza e una maestria impareggiabili, basta vedere il modo con cui affronta il palco e le interviste per rendersene conto. Da cosa deriva tutto questo? Dal fatto che Barbara ha LETTERALMENTE provato sulla sua pelle le cose che racconta, è lei l’autorità assoluta in questo campo e noi possiamo solo stare zitti e ascoltare. In senso lato questo è quello che dovrebbe accadere all’opera di ogni scrittore, ma non sempre è così. Il successo del romanzo di Barbara, dunque, diventa per me una sorta emblema letterario. Bisognerebbe scrivere solo di ciò che si sa, di ciò di cui si è fatta esperienza. Una volta Antonio Moresco mi ha detto: “Se vuoi passare lo strato dell’armatura in cui sono imprigionate le persone, anche tu devi spaccarti e mostrare la tua ferita.” È questo il solo modo che lo scrittore ha per scrivere qualcosa che i lettori percepiscano magari come scomodo, distante dalla propria esperienza ma che, proprio per questo, trasforma la lettura in un surplus di vita, che poi è la ragione per cui leggiamo e per cui i veri scrittori, come Barbara Garlaschelli, scrivono.