Le nostre anime di notte, Kent Haruf, NN editore 2017




(Prologo)
Nella mia vita di lettore una cosa così strana non era davvero mai capitata. Ieri, in fila alla cassa di una libreria, io e altri due sconosciuti davanti a me avevamo in mano questo libro. Ci siamo sorrisi ma non abbiamo detto niente, obbedendo al codice non scritto dei lettori taciturni, che si incontrano nei mondi misteriosi dei romanzi e si riconoscono senza conoscersi…

Sono giorni che ho finito di leggere, giorni che mi interrogo su queste pagine. 
Essenzialmente penso a come – per uno scrittore – vita, morte e scrittura, siano inscindibili. 
In un’intervista la moglie di Kent Haruf racconta gli ultimi giorni del marito, con un cappellino in testa a scrivere in giardino quest’ultimo libro che non avrebbe fatto in tempo a vedere pubblicato. “Voglio scrivere di noi due” le ha detto. Poi, come succede sempre con gli scrittori, si è inventato una storia che non ha nulla a che fare con quella fra lui e la moglie Kathy, eppure i due vedovi Addie e Louis che s’incontrano di notte nella camera di lei per parlare e raccontarsi le rispettive vite, devono necessariamente nutrirsi dell’intimità, dei dettagli, dei giorni che Kent Haruf e sua moglie hanno passato insieme. “Le nostre anime di notte” è un essenziale pezzetto di mondo (il villaggio immaginario di Holt in Colorado, dove Haruf ha ambientato tutte le sue storie) in cui le giornate sono scandite dalle semplici occupazioni di due pensionati che vivono in campagna; tutto è quieto e pacato, perfino le reazioni dei due anziani alla bigotteria del paese che non vede di buon occhio la loro relazione. È come se Addie e Louis avessero capito qualcosa di fondamentale, pensavo fra me e me leggendo. Solo che non si tratta di una verità ultima e trascendentale, si tratta – al contrario – di una saggezza semplice e solidissima che Haruf fa emergere e risplendere raccontando una quotidianità ordinaria. Non ho mai avuto, insomma, l’impressione di star leggendo una sorta di testamento letterario. Lo è, naturalmente, ma per conseguenza, quasi a livello simbolico, direi.
“Le nostre anime di notte”, nella sua struttura di romanzo breve, somiglia più che altro a un giardino zen: per comprendere ciò che è veramente essenziale bisogna rimuovere il superfluo, compresa la paura della morte, finché resta solo ciò che è necessario. In questo i grandi giardinieri e i grandi scrittori si somigliano molto.