La vita sconosciuta, Crocifisso Dentello, La nave di Teseo, 2017





Fra le pagine di questo romanzo si aggira un uomo orribile, uno di quei personaggi con cui è difficilissimo stabilire un rapporto di empatia; eppure lo si sta a sentire con un sentimento di ripulsa misto a coinvolgimento crescente, perché più lui si allontana dal nostro sentire più ci fa entrare in luoghi oscuri che, altrimenti, non avremmo sperimentato mai. E questo, a mio avviso, è esattamente il compito della letteratura. 
Ernesto trova la moglie Agata morta sul divano di fronte alla tv, una notte che rientra in casa dopo aver fatto sesso con un giovane prostituto arabo. Il sollievo di sentirsi finalmente libero si scontra immediatamente con la perdita e il senso di colpa. Si sono mai amati Ernesto e Agata? Probabilmente no, non c’è nessun accenno, nessun lessico familiare nei ricordi del vedovo a fornirci segnali in proposito. Però i due hanno amato un’ideologia, quella della lotta armata sul finire degli anni settanta: è stato in quel mondo di assemblee in fabbrica e incontri clandestini per organizzare azioni di lotta proletaria, che si sono conosciuti. Agata “se ne stava defilata, in fondo alla sala. L’incarnato come rame lucidato e dotata di una sensualità naturale e svogliata, come se si fosse infilata i vestiti in fretta e furia su un corpo ancora umido di sudore.” Il libro è pieno di descrizioni così, periodi densi e pastosi in cui l’autore rinuncia del tutto ai dialoghi, soluzione che forse penalizza un po’ il romanzo ma è probabilmente una scelta stilistica per dimostrare come il delirio di Ernesto non preveda altri interlocutori che se stesso. Eppure questo io narrante così ipertrofico non fa che raccontare la moglie. Lui pensa di parlarci di sé, dei suoi noiosissimi dolori, ma il vero personaggio letterario è Agata, fuggita giovanissima dalla Sicilia per liberarsi da una vita banale già scritta e trasferitasi a Milano col sogno di emanciparsi. Purtroppo però “dismettere i panni di isolana non le riusciva anche perché, se da una parte sognava di emulare le milanesi, dall’altra resisteva nel suo subconscio un barlume di orgoglio, come volesse assorbire il modello femminile cui ambiva ma senza stingersi completamente in esso.” Bastano queste righe a far intuire come Agata sia un personaggio complesso e, allo stesso tempo, una sorta di emblema. In effetti, al di là degli aspetti intimi e individuali, questo è un romanzo che mette in scena il fallimento di una generazione. In uno dei momenti in cui Ernesto guarda oltre la propria autocommiserazione, riesce a dare un’analisi lucidissima e spietata di sé e della sua generazione: “a forgiarci davvero era la rabbiosa speranza di affrancarci da una tara genetica di umiliazioni e privazioni, persuasi che il destino miserabile impresso nei nostri cromosomi si potesse raschiare via con l’antagonismo ideologico.”
Crocifisso Dentello, nato nell’anno in cui i suoi protagonisti si incontrano, ha saputo calarsi con credibilità in una stagione storica e politica che rappresenta una ferita ancora aperta e – pur con qualche incertezza e un finale decisamente affrettato – ha costruito un romanzo molto lontano dai canoni giovanilistici di certa letteratura italiana, utilizzando una scrittura meditata e accurata, mai sciatta, in cui si ritrova l’eco di alcuni maestri del novecento, da Volponi alla Ortese a Testori.